11 LUGLIO 2019

Sindrome dell'intestino irritabile, elaborato e approvato un protocollo dietetico che apporta significativi miglioramenti a livello della sintomatologia, ecco il Fodmap:

La sindrome dell'intestino irritabile (SII) non è una vera e propria patologia ma un insieme di disturbi gastrointestinali che colpiscono circa il 15% della popolazione e in maggioranza donne. Gonfiore, dolori addominali, nausea, meteorismo, diarrea e/o stitichezza sono i sintomi più noti della SII, causa di un notevole peggioramento della qualità della vita quotidiana.


"Non esistono attualmente test diagnostici, ma è stato elaborato e approvato un protocollo dietetico che apporta significativi miglioramenti a livello della sintomatologia", dice Ambra Ciliberto, dietista dell'Istituto clinico Sant'Ambrogio e Policlinico San Donato, nell'ambito dell'ultimo convegno di Nutrizione pratica Nutrimi (Milano, aprile 2019). 




Nel tempo è stato osservato che alcune strategie dietetiche mirate riescono ad alleviare la SII in molti pazienti. In un numero rilevante, per esempio, l'esclusione del glutine per 4-8 settimane porta un miglioramento sensibile dei segnali a livello gastrointestinale, anche quando non è diagnosticata celiachia o allergia al frumento.

Un altro protocollo recentemente applicato si basa sulla dieta FODMAP, acronimo di Fermentabili-Oligo-Di-Mono-Polioli cioè carboidrati a catena corta scarsamente assorbiti dall'intestino e con un alto potere fermentante: fruttosio, lattosio, fruttooligosaccaridi, galatto-oligosaccaridi (fruttani e galattani) e polioli (come sorbitolo, mannitolo, xilitolo e maltitolo). Il protocollo ha una durata di 6-8 settimane in cui vengono dapprima esclusi una serie di alimenti per poi essere riammessi gradualmente. 


Il primo step della dieta comprende la rimozione degli alimenti ricchi di FODMAP. Si spazia in tutte le categorie: ortaggi (asparagi, carciofi, aglio cipolle), frutta (mele, pere, ciliegie, pesche, frutta secca a guscio e frutta disidratata), latticini, miele, legumi e glutine. Segue una reintroduzione graduale con il monitoraggio della reazione dell'organismo ed infine una personalizzazione del regime dietetico basato sulla capacità personale di tollerare alcuni alimenti e l'esclusione di altri.


In questo periodo, spiega Ciliberto, "la flora batterica intestinale si modifica con una riduzione dei ceppi responsabili della iperfermentazione e una selezione successiva di bifidobatteri che producono acidi grassi a corta catena (SCFA) contribuendo al mantenimento del microbiota". Un simile intervento è ovviamente nutrizionalmente molto restrittivo. I medici mettono in guardia dal fai da te: è importante che tutto il protocollo sia elaborato da un nutrizionista o dietista competente e su prescrizione di un gastroenterologo per evitare gravi carenze nutrizionali.


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