12 OTTOBRE 2019

NEURONI SPECCHIO: PROCESSI DI APPRENDIMENTO, EMPATIA E AUTISMO

A cura della Dott.ssa Brigida Garofalo


“ L’unico modo per capire le persone è sentirle dentro di te”

 

                                                                                    John Ernest Steinbeck

 

 * premio Nobel per la letteratura nel 1962 con la seguente motivazione: "Per le sue scritture realistiche ed immaginative, unendo l'umore sensibile e la percezione sociale acuta"

 

 

 

NEURONI SPECCHIO: PROCESSI DI APPRENDIMENTO, EMPATIA E AUTISMO

 

 

Il linguaggio verbale, l’empatia, la capacità di imparare velocemente mediante imitazioni sono tutte peculiarità che rendono l’uomo un essere “speciale”. Ciò che rende unici è ciò che ci rende uomo sapiens.

 

Su questi temi filosofi e pensatori di ogni tempo hanno versato fiumi di inchiostro producendo bibliografie infinite.Chi fece dell’empatia l’oggetto principale della sua ricerca fu Edith Stein. L’empatia non era solo apertura alla relazione con l’altro, ma l’esperienza dell’altro dentro di sé. Inoltre, per Stein l’empatia è possibile solo se esiste una corrispondenza tra quello che è  il mio essere e l’essere dell’altro.

Gli studi condotti dal team del Professor Rizzolatti e la conseguente scoperta dei NEURONI SPECCHIO hanno permesso alla scienza, ancora una volta, di chiarire i meccanismi biologici che sono alla base del nostro essere umani.

 

 

Una scoperta del tutto casuale

 

I neuroni specchio sono considerati la più grande scoperta neurobiologica del ‘900.

Verso la fine degli anni novanta Rizzolatti, Gallesi e Fogassi, ricercatori in neuroscienze dell’università di Parma, avevano attivato degli elettrodi inseriti nei neuroni della corteccia cerebrale di una scimmia con lo scopo di studiarne l’attività neurale dell’animale mentre afferrava gli oggetti. La scoperta è arrivata quando Fogassi entrando nella stanza dell’animale aveva preso un chicco di uva e nello stesso momento i i neuroni della corteccia premotoria della scimmia, che lo stava guardando, si sono attivati come quando era stato l’animale stesso ad afferrare i chicchi d’uva.

In altre parole, la stessa parte del cervello che si attiva nel pianificare un movimento si attiva anche nel vedere un altro individuo compiere la stessa serie di azioni.

Questa osservazione condusse alla scoperta, di una nuova tipologia di neuroni motori che hanno la caratteristica di eccitarsi (rispondere) anche solo osservando  un’azione compiuta da un altro soggetto. Per questo motivo si scelse il nome di mirror-neurons o neuroni specchio, che hanno la peculiarità di codificare non un movimento ma uno scopo.

Ricerche successive hanno dimostrato l’esistenza di questa tipologia di neuroni anche nell’uomo.

Le ricerche del professor Rizzolatti hanno avuto un notevole impatto sulla comunità scientifica mondiale: ad interessarsene sono psicologi, linguisti, biologi e persino costruttori di robot.

Tra le decine di ricerche correlate nei più svariati ambiti scientifici, di seguito ne approfondiremo solo alcuni: l’apprendimento, l’empatia e l’autismo.

 

Apprendimento e neuroni specchio

 

Comprendere il potenziale vantaggio evolutivo del meccanismo dei neuroni specchio ha permesso di spiegare una serie di competenze precoci, una sorta di programma innato parziale come lo è il pianto o la sensibilità alla voce umana. In quanto programma parziale necessita di essere esercitato e coltivato nel corso del tempo.

Questo permette di spiegare come mai un neonato già dopo poche ore dalla nascita è in grado di riprodurre movimenti della bocca e del volto della mamma. È ovvio che bambini così piccoli non posseggono nessuna capacità di simulare tramite inferenze, per cui deve necessariamente   esistere una simulazione incarnata  fin dalla nascita.

A partire dai 10 mesi alcuni bambini assumono un’espressione preoccupata quando un bambino o un adulto piange, e nei mesi successivi essi attuano  i primi generici tentativi di conforto.  Questo dimostra che certe abilità cognitive non coinvolgono processi cognitivi complessi ma dipendono dallo sviluppo delle abilità motorie.

 

Alcune strategie e stili educativi possono essere:

 

-       promuovere giochi di ruolo, dove i bambini devono "mettersi”nelle parti e nei panni di altre persone, in modo da coglierne e comprenderne  caratteristiche ed esigenze;

-       stimolazione del pensiero altruistico: invogliare il bambino a prendersi cura dei più piccoli;

-       la famiglia è il primo luogo che il neonato incontra: sarà dunque portato ad imitare i genitori ed i fratelli, motivo per cui un clima ricco di affetto genera nel bambino desiderio di imitare le persone che lo circondano.

 

Da quanto appena scritto una breve riflessione pedagogica: i bambini apprendono per imitazione e necessitano di semantica e simbolismo. Ecco che per educare un bambino  abbiamo bisogno di un’altra persona  (adulto) che mostra e gli propone un modello di azione. La proposta di un video piuttosto che una macchina non attiva il circuito dei neuroni specchio, in altre parole vi è uno stimolo ma non un’educazione.

Uno degli strumenti pedagogico più importanti in tutte le culture tradizionali sono i racconti, le fiabe, le narrazioni epiche, magari accompagnate da una certa mimica o dall’impiego di teatrini. In questo modo i bambini vengono educati ai valori che sono a fondamento della cultura e della vita con una modalità che assomiglia, per dare un’immagine, al nutrimento.

 

In questo modo si stimola il bambino verso lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, cioè la capacità di trovare un equilibrio tra quella che è la parte razionale ed emotiva della nostra mente. In altre parole saper riconoscere e gestire i sentimenti altrui e propri, dominare  le proprie frustrazioni e gestire in modo positivo i vissuti emozionali.

 

Empatia e neuroni specchio

 

Ancora una volta grazie agli studi del team del Professore Rizzolatti è stato possibile dare una base scientifica alla capacità innata dell’individuo di lasciarsi coinvolgere dalle emozioni degli altri.

La parola empatia dal greco “en” dentro “pathos” sentimento.

 

Ma cos’è l’empatia? Cosa avviene nel nostro cervello nel momento in cui due individui si cimentano in un rapporto empatico?

Al di là dell’azione, vi sono altri modi attraverso cui siamo in grado di empatizzare gli altri. Per usare una definizione di Gallese (et all) ogni relazione interpersonale significante implica la condivisione di una molteplicità di stati: emozioni, il nostro essere soggetti al dolore così come alle altre sensazioni somatiche.

Questo processo consentirebbe di cogliere il vissuto dell’altro in maniera immediata, provocando un’esperienza diretta e fisiologica, qualcosa di diverso da un ragionamento o da un processo mentale di astrazione. In questo modo l’altro è davvero percepito come un “altro sé”.

AUTISMO: quando lo specchio si “appanna”

 

L’autismo rientra nei disturbi pervasivi dello sviluppo, un insieme di disturbi caratterizzati dalla compromissione grave e generalizzata in diverse aree dello sviluppo. Nello specifico è compromessa la capacità di interazione sociale , la capacità di comunicazione e presenza di comportamenti e interessi stereotipati.

Per dare una base scientifica al  disturbo autistico relativo alle interazioni sociali si è sviluppata negli ultimi anni la “teoria degli specchi infranti”. Secondo questa teoria nell’autismo non è possibile rispecchiarsi nell’altro e quindi avere una comprensione immediata che permetta di dare un senso al suo mondo.

I deficit sociali dell’autismo sarebbero quindi da ricondurre ad un mal funzionamento del sistema mirror, nello specifico ad una ipo-attività del sistema. Il soggetto autistico non ha difficoltà a conferire intenzione ad altri ma fallisce nel momento in cui cerca di ricreare mentalmente il comportamento di un’altra persona, e di conseguenza nel proiettarsi mentalmente nella situazione dell’altro.

Molteplici le evidenze scientifiche a sostegno di tale teoria. Di seguito riportiamo un ‘esperimento pubblicato sul GIORNALE ITALIANO DI PSICOPATOLOGIA.

 

L’onda “mu” è un indice elettro-fisiologico che designa l’attività del sistema specchio. Nei soggetti con sviluppo tipico mostra desincronizzazione durante l’esecuzione e l’osservazione di azioni. Nei soggetti autistici risulta essere sensibile all’esecuzione delle stesse, ma non all’osservazione di azioni compiute da altri.

 

Theoret, ha registrato le risposte dal dito indice mentre i partecipanti guardavano un video di movimenti dell’indice diretti sia verso l’osservatore che lontano da esso: nel gruppo di controllo sano, entrambe le azioni portano a risposte misurabili nei muscoli dell’indice e del pollice dell’osservatore.

I soggetti autistici mostrano invece una risposta solo alle azioni dirette verso l’osservatore. I ricercatori spiegano questi risultati in termini di un deficit del sistema dei neuroni specchio che porta a compromissioni nella simulazione di azioni egocentriche e un deficit nella rappresentazione generale sé-altro.

 

Dapretto ha chiesto a pazienti autistici di imitare e di osservare espressioni facciali di emozioni nello scanner della fMRI. I soggetti autistici non hanno mostrato modelli normali di attività cerebrale durante l’osservazione e l’imitazione delle espressioni facciali. In particolare non hanno mostrato un’attivazione significativa nella corteccia prefrontale (area cerebrale reputata a contenere i neuroni specchio).

Viene anche dimostrata una correlazione tra riduzione nell’attività dei neuroni specchio e severità clinica dei singoli soggetti autistici osservati: a una più grave compromissione corrisponde una più scarsa attività cerebrale. Questo dato non viene confermato dallo studio di Williams 14 che non rileva differenze di attivazione nel giro frontale inferiore, ma solo un ipoattivazione dell’area parietale del sistema specchio.

 

Cattaneo dimostra che sebbene nell’autismo sia registrata un’ipofunzionalità anche a livello del singolo neurone specchio, i maggiori deficit sembrano dipendere da una compromissione nell’organizzazione a catena degli atti motori. Quest’ultima risulta essere di fondamentale importanza per la comprensione del perché delle azioni e ciò spiegherebbe la difficoltà dei soggetti autistici nel comprendere le intenzioni sottostanti le azioni altrui.

Infine, un’indagine morfometrica ha evidenziato certe anomalie strutturali delle regioni cerebrali coinvolte: un anormale assottigliamento della sostanza grigia nell’area premotoria ventrale, nel lobo parietale posteriore e nel solco temporale superiore 16. Sono state documentate anche delle differenze nello spessore del manto corticale del giro frontale inferiore.

 

 

L’imitazione è un processo che prevede la trasformazione di stimoli visivi in rappresentazioni motorie. Le differenze che intercorrono tra l’imitazione di un soggetto con autismo e uno con sviluppo tipico risiede nel fatto che il primo basa la propria imitazione sulla codifica e riproduzione di un pattern motorio, quindi imita l’azione di per sé. Il secondo invece basa la propria imitazione su una codifica semantica delle azioni, quindi imita la persona.

 


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