5 AGOSTO 2019

Microplastica negli alimenti: le principali fonti sono acqua e pesci

Avrete sentito parlare dell'isola di rifiuti di plastica che galleggia nelle correnti nell'Oceano Pacifico.

Ne abbiamo una anche nel Mar Mediterraneo, molto più piccola - per fortuna - fra l'isola d'Elba e la Corsica.
Il loro impatto sull'ecosistema marino è devastante. Come se non bastasse sono una fonte di produzione continua di microplastiche cioè particelle di plastica di vari tipi e di dimensioni comprese tra 0,1 µm e 5 mm che stanno inquinando la catena alimentare a cominciare dalle acque.

Le microplastiche più diffuse nell'ambiente possono derivare appunto dalla decomposizione dei rifiuti in plastica dispersi negli oceani, per azione della luce ultravioletta (UV) e dell'abrasione fisica; oppure derivare direttamente dall'attività umana. Sono presenti particelle di plastica nei prodotti cosmetici di cura della persona o della casa (detergenti, dentifricio) o in alcuni tessuti da cui vengono rilasciate durante il lavaggio, riversandosi in mare attraverso i sistemi fognari. 

I dati ad oggi disponibili su concentrazioni negli alimenti e tossicità sono ancora scarsi e non sono sufficienti a stabilire il livello di rischio a cui è esposta la salute del consumatore. L'Università di Newcastle in Australia ha di recente condotto uno studio, commissionato dal WWF, da cui è emerso che ingeriamo circa 5g di microplastiche alla settimana.

Le fonti principali di microplastica e nanoplastica

L'acqua, sia in bottiglia sia del rubinetto sono le principali fonti. Nel 2016 l'EFSA, l'Autorità per la sicurezza alimentare, ha pubblicato una relazione sulla presenza di particelle di microplastica - ma anche di nanoplastiche le cui dimensioni vanno da 1 a 100 nanometri - nei prodotti ittici. Gli organismi marini, dallo zooplancton agli invertebrati e i vertebrati sono i più esposti. Nei pesci si sono rilevate le concentrazioni maggiori. Poiché però le microplastiche sono presenti per lo più nel loro stomaco e nell'intestino, che di solito vengono eliminati, i pesci non costituiscono una fonte di esposizione alimentare preoccupante per l'uomo. Crostacei e molluschi bivalvi, come le ostriche e le cozze, che invece vengono consumate intere (e cioè con il tratto digestivo) espongono il consumatore ad una certa quantità. L'Efsa ha stimato che una porzione di cozze (225g) potrebbe contenere 7 mg di microplastica. 

Preoccupa tuttavia il fatto che microplastiche sono state trovate anche in altre categorie di alimenti: nel miele, nella birra e nel sale da tavola. Il numero medio di particelle per grammo rinvenute nei gamberetti è pari a 0,75, mentre nei molluschi bivalvi è di 0,2-4. Il contenuto medio di microplastiche riportate per il miele è pari a 0,166 fibre/g e 0,009 frammenti/g. Nella birra sono state trovate fibre, frammenti e granuli in quantità di 0,025, 0,033 e 0,017 per ml, rispettivamente. In un grammo di salgemma possono esserci 0,007 e 0,68 particelle. 

Pericolosità della microplastica per l'uomo

Cosa sappiamo della loro pericolosità per l'organismo umano?
Le microplastiche inferiori a 150 µm possono migrare attraverso l'epitelio intestinale causando potenzialmente un'esposizione sistemica, nonostante l'assorbimento sembra sia limitato.
Dal punto di vista alimentare però, una preoccupazione riguarda le elevate concentrazioni di agenti inquinanti quali i policlorobifenili (Pcb), gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) o i residui di composti utilizzati negli imballaggi, come il bisfenolo A (Bpa) che accumulandosi nelle microplastiche entrerebbero facilmente nella catena alimentare.

Siamo all'inizio delle ricerche. I primi numeri descrivono un livello di inquinamento e contaminazione molto diffusa per cui sarà necessario un maggior approfondimento dei diversi aspetti: da quello tossicologico a quello di sostenibilità ambientale dei materiali e di un ciclo di vita degli imballaggi che sia sostenibile per garantire la salute dell'uomo e degli ecosistemi terrestri.

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