12 FEBBRAIO 2020

IL CERVELLO INNAMORATO E LA BIOCHIMICA DELL'AMORE

A cura della Dott.ssa Brigida Garofalo

Il CICLO DELL’AMORE DAL PUNTO DI VISTA BIOCHIMICO

«Ognuno di noi si porta dentro un segreto. E passa la vita a girarci intorno. Talvolta se ne parla. Talvolta lo si sfoggia. Talvolta lo si nega. Eppure è sempre quel segreto che spiega tutto quello che si vive… L’amore, in fondo, è quel segreto che ci portiamo dentro.»

Benché poeti e scrittori abbiano versato fiumi di inchiostro- chi non conosce le grandi storie d’amore di Paolo e Francesca, Renzo e Lucia, di Romeo e Giulietta?-   e neuroscienziati e psicologi ne abbiano studiato ogni pur minimo dettaglio, l’amore è ancora oggi un qualcosa difficile da incasellare: un sentimento di cuore ma che parte dalla testa, seppur con la ragione c’entri poco.

L’amore ci assicura la sopravvivenza della specie 

Una storia d’amore generalmente viene vissuta tra individui di sesso diverso. Il sesso poi, secondo gli scienziati è una ricombinazione di geni dove l’unico scopo è il sopravvivere cambiando continuamente DNA e salvaguardando così la varietà. In altre parole l’amore, e il sesso di conseguenza, sembrerebbe rappresentare l’unica arma capace di assicurare la discendenza.
Il gene della femminilità si chiama DES ed è localizzato sul cromosoma X, ne consegue che ne posseggano una copia anche i maschi. A scoprirlo è stata una genetista italiana, Camerino Giovanna che afferma che esso è cosi potente che se entrasse in funzione sarebbe capace di rendere femmina un moscerino con cromosomi maschili.
Il gene della mascolinità invece è chiamato SRY ed è situato ovviamente in una regione del cromosoma Y. I Segnali che manda questa regione del DNA nel periodo che va dalla V alla VII settimana di gestazione fa si che si abbia la formazione dei testicoli nel feto che andranno a  produrre l’ormone maschile per eccellenza: il testosterone.
Tuttavia la differenza sul ventitreesimo cromosoma è una condizione necessaria ma non sufficiente per prevedere la sessualità di un individuo. Nel 1993 un neuroanatomista californiano Simon Le Vay, scopri che una piccola area celebrale detta Inah-3 varia con l’orientamento sessuale: nelle femmine è più piccola, nei maschi più grande e nell’omosessuali è intermedia tra quella più grande degli eterosessuali e quella più piccola femminile

Partiamo proprio dal cervello…l’organo più importante in amore.



 Il nucleus accumbens è quella struttura cerebrale che plasma il nostro sistema di ricompensa. Sappiamo che la sua funzione principale consiste nell’attivare la motivazione. Ma c’è dell’altro. 

Brevemente è costituito da Rele I e Rele II, il primo è sede dell’euforia , del piacere e della gioia ed è attivato dalle encefaline, mentre il secondo è sede della depressione, vigilanza ed ansia ed è attivato dalle dinorfine. Mentre il cingolato anteriore, altra zona del cervello, è sede dell’euforia da “cotta”.  




"IL CICLO DELL'AMORE"






L’infatuazione  è gestita dal MESENCEFALO che da stimolazioni sensitive ed olfattive (ferormoni) che portano alla liberazione di Dopamina, la molecola che da gioia e felicita. Il sistema dopaminergico iperattivo ci rende a questo punto  drogati, nel senso cerebrale della parola. La nostra droga è il nostro amato.

Aumentano i livelli di testosterone in lui e di estrogeni in lei. In questa fase si presentano i classici sintomi da cotta:

Dilatazione delle pupille

Tachicardia

Aumento frequenza del respiro e della sudorazione


All’infatuazione segue la fase dell’attaccamento…che inizia almeno dopo sei mesi. Dopo il rilascio della dopamina vengono rilasciate altre molecole come NA e feniletilammina, simile all’anfetamina per composizione e per effetto, all’interno del nostro corpo amplifica tutte le emozioni. 

Si impazzisce letteralmente d’amore poiché il livello di serotonina, molecola implicata nella regolazione dell’umore ,si abbassa. Lo  stesso meccanismo fisiologico viene osservato in chi soffre del disturbo ossessivo compulsivo…una malattia psichiatriche che spinge ad avere pensieri ossessivi.

L’amore rende ciechi perché le zone del cervello implicate nel giudizio critico sono meno attive: quando si pensa all’amato esso risulta pertanto privo di difetti.


La fase di attaccamento non può durare molto a lungo perché i livelli di cortisolo , l’ormone responsabile dello stress aumentano. Tuttavia si scatena la passione, durante questa fase c’è il coinvolgimento della neuroipofisi responsabile del rilascio di ossitocina, la quale a sua volta ci spinge alla tenerezza. Lo stesso ormone è responsabile dell’atteggiamento materno…..e le donne hanno in media il 30% in più di ossitocina rispetto agli uomini.

Viene rilasciata  anche la vasopressina responsabile della fedeltà.


Dopo la fase della passione si pone il bivio. Il sistema libico valuta le ansie e le paure e se continua a produrre endorfine -sostanze ampiamente in circolo durante i rapporti sessuali e durante l’attività sportiva provocando senso di benessere ed euforia- il ciclo dell’amore continua. Se cosi non fosse….ahimè vi è il GAME OVER!!!!

In amore l’abbandono è la fase più dolorosa: i livelli di dopamina salgono vorticosamente per cui ritorna l’ossessione per la persona amata. Dopo 8 settimane di distacco il 50 % delle persone innamorate è clinicamente depressa.


L’amore non è un concetto universale e dal punto di vista puramente psicologico l’amore nasce da una necessità affettiva e sessuale. Le condizioni del contorno giocano un ruolo fondamentale sul “ di chi “ ci innamoriamo e sul “come”.


Quelli appena descritti nell’articolo sono alcuni dei punti di vista meramente  scientifici riguardanti l’amore di coppia; una visione “neurotrasmettoriale”, una  versione -per cosi dire- meno romantica di una dimensione ben più ampia e sfaccettata che spesso non risponde a logiche biochimiche. Sarebbe pericolosamente riduttivo limitarsi a solo questa lettura chimica dell’amore, poi di fatto c’è il proprio pensiero personale, come ognuno di noi concepisce  o vive questo complesso sentimento, ed in qualche modo questa nostra idea dell’amore riflette ciò che realmente siamo, i nostri valori, i nostri desideri. 

Concludiamo con alcuni celebri versi del famoso drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare: il sonetto 116 in cui Shakespeare tesse un elogio dell’amore fedele, di quell’amore che non cambia col vento ma che sa essere costante, un faro nella notte, una sorta di stella polare.




"Non sia mai ch’io ponga impedimenti
all’unione di anime fedeli; Amore non è amore
se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l’altro s’allontana.
Oh no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca,
il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote
dovran cadere sotto la sua curva lama;
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato."







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